Pagani Silvano
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il corridoio 5

“L’anima del progetto”, sotto l’apparenza  di un diario professionale, con appunti, notazioni, domande che nascono dal concreto, sviluppa temi e proposte di interesse comune a chiunque si occupi di architettura e operi o viva nel “Corridoio5”.

 

 

 Arch.Pagani, qual è lo stato di salute dell’architettura nel corridoio5?

 

Quello che si vede e constata tutti i giorni è una grande attenzione agli aspetti tecnici, ma poco coraggio nell’innovazione formale. C’è una mancanza di duttilità, una lentezza psicologica nell’evoluzione dell’architettura quotidiana: come se il fascino, il gusto dei nuovi modi di progettare fosse prerogativa solo dei grandi maestri, delle grandi opere…

 

 L’innovazione arriva sempre in ritardo…

 

Si, e sempre standardizzata, mentre la lezione dei grandi maestri, e le opportunità delle nuove tecnologie, ci dicono che oggi possiamo, e forse dobbiamo, tornare a concepire ogni edificio nella sua individualità, nella sua unicità di contesto, funzione, memoria e prospettive…

 

 Si riferisce anche all’architettura residenziale?

 

 Certo, perché ogni casa è un fuoco, un segno di presenza umana, ogni casa è il guscio di un uomo, è una forma di vita nell’ecosistema, ha un’anima, un suo corpo e sue radici, come un albero, non importa se isolato o dentro un fitto bosco, non ci sono in natura due alberi identici… ma per fare questo, per dare a ogni progetto un’anima, bisogna osare il doppio, lavorare il triplo, e saper condurre l’armonia del progetto ad un’unità d’intenti e di risultati tra il committente, il progettista, l’impresario e il cantiere.

 

Bisogna tirar fuori l’anima, dare forza, verità, esprimere un segno nuovo, vero, questa è la strada della creatività e dell’autenticità come fattori vitali del progetto… certo, la strada del costruire con lo stampino è più comoda, ma dove porta?

 

 Il suo è un appello all’innovazione nell’architettura quotidiana, indirizzato sia agli architetti, che alle imprese e alla committenza. C’è un modo, una strada, una medicina per superare i limiti del presente?

 

In realtà l’architettura oggi soffre di una paralisi di genialita’, di ricerca, siamo fermi, guardiamo quasi sempre indietro, siamo sepolti da leggi, decreti, ordinanze a tutela del patrimonio edilizio esistente e bloccati da una codificazione totale delle forme consentite nel presente, del tutto impotenti nel progettare guardando avanti.

 

Le normative hanno scolpito il nostro sapere, la nostra dentologia professionale oggi si ferma alla  famosa “quota”, ormai implementata nel genoma mentale di ogni tecnico. Ma la “santa quota”  non fa miracoli, non ti salva da un risultato sterile se non hai messo nel progetto una dentologia più ampia, più impegnativa di un semplice compito tecnico. E’ questa l’unica medicina. Più responsabilità vera, globale, più energia nel volere, nell’ideare e nel realizzare un’opera.

il corridoio 5

Tenere insieme queste fasi, saper dare al progetto anima e corpo,  questo è il lavoro, il gesto dell’architetto.

 

L’architettura non è natura morta, ma  umanità viva, provocante e stimolante. Fin dal primo schizzo, dall’intuizione ingegneristica, il progetto prende vita, impressione e prospettiva umana. L’architettura ha un’anima, ogni progetto ha un’anima.

 

L’ANIMA DEL PROGETTO  SI PERCEPISCE  DALLA CAPACITÀ  DI UN EDIFICIO O DI UNO SPAZIO ARCHITETTONICO  DI ESSERE UN AMBIENTE DI VITA,  CIOÈ UN LUOGO CHE ACCOGLIE, PROTEGGE, COINVOLGE ED ECCITA LE PERSONE. QUESTA CAPACITÀ , QUESTO SPIRITO, NON DIPENDE SEMPLICEMENTE DALLA FORMA O DALLA FUNZIONE DEL MANUFATTO, MA PIUTTOSTO DALL’ENERGIA, DALLA SENSIBILITÀ E DALL’AUTENTICITÀ  DELLE PERSONE CHE HANNO VOLUTO E CREATO QUEL PROGETTO, LA COMMITTENZA, I PROGETTISTI, I MASTRI EDILI, IL PUBBLICO.

 

Un progetto, uno spazio costruito, diventa  allora un testo, cioè materia significante. Si usa dire:  “se i muri potessero parlare”, ed effettivamente  i muri parlano,  a volte addirittura gridano, ma per lo più sussurrano. E di cosa parlano i muri, cosa raccontano?  Parlano di noi, raccontano l’umanità, lo stile, la passione, l’intelligenza  e i valori  di chi quei muri ha costruito e abitato nel tempo.

 

Diamo un senso alla vita quando siamo portatori di un impulso, di un messaggio, di un sentimento, di un pensiero: siamo vivi quando facciamo, quando pensiamo, quando sentiamo. Un’architettura è viva quando sorregge non solo sé stessa, ma i rapporti umani, uno spazio è vivo quando conserva, accoglie e proietta segnali di vita, emozioni, pensieri.

Rebellious Humor

Il tecnico veramente capace non è un robot, ma un portatore

appassionato d’innovazione, è un amante della tecnologia passata e

futura, un fautore dell’incontro con altri linguaggi come l’arte, la

filosofia, la scienza.

 

Quando questo non avviene, quando manca il

coraggio del gesto nuovo e al suo posto resta la paura, allora il tecnico

si nasconde nella trincea dell’esistente, dell’approvato, del legiferato.

Dall’altra parte dello specchio ha di fronte un progettista senza forza,

senza amici, senza vita, ma perfettamente in grado di generare mostri

a norma di legge.

Attorno alla norma, le amministrazioni si irrigidiscono e i progettisti si

appiattiscono: il risultato è mancanza d’autenticità, d’amore.

Così nascono i mostri a norma di legge, mentre i progetti da favola

restano sogni irrealizzati e bisogni inappagati. Il paesaggio,

formalmente tutelato, ma sostanzialmente devitalizzato, è allora lo

specchio di un male collettivo, la mancanza di vitalità, di gioia e di

slancio verso il futuro.

 

Non c’è normativa che possa tutelare un

paesaggio dalla banalità del cattivo progetto.

In questa situazione, si deturpa davvero, irrimediabilmente, il

paesaggio.

L’unico appello che il tecnico deve lanciare, nell’impasse creativo, è

quello alla spirito della propria professione, alla capacità di dare sintesi

tecnica all’emozione di un luogo e di un tempo. Deve richiamarsi

all’esperienza maturata nella professione, sua e di è stato prima di lui

architetto e progettista.

Allora il paesaggio non è più sentito come una vuota carrozzeria da

museo che incute timore, ma materia viva, amica, organismo fatto di

natura e umanità, vero e unico stimolo del buon progetto.

Ecco cosa deve fare oggi il progettista, così come il tecnico. Inutile

lamentarsi, scontrarsi, aggirare gli ostacoli. Occorre un nuovo

atteggiamento, più responsabile, più determinato e più coraggioso: un

coraggio che solo il vero progetto può dare.

La convinzione e la forza del progetto possono portare le

amministrazioni, i tecnici e i paesaggisti ad operare in modo altrettanto

coraggioso, aperto e responsabile. Insieme, e non contro, si può

vincere l’inerzia che ha ridotto il paesaggio al servizio delle normative,

e ripensare la norma in funzione di un paesaggio vivo, fatto non solo di

un passato, ma anche di un presente e un futuro.

24069 Trescore Balneario (BG) via A. Locatelli,19/a

+39 035 944707

Architetto Silvano Pagani

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